L’edizione 2015 di Nuvola Rosa, progetto di Microsoft Italia nato per aiutare le giovani donne a intraprendere percorsi tecnico-scientifici utili ad accedere al mondo del lavoro, si è conclusa con grande successo.
L’incontro, dal titolo “Con la Nuvola il futuro è Rosa”, realizzato in collaborazione con il Comune di Milano e Accenture, ha chiuso ufficialmente l’intenso percorso di attività durato sei mesi – in concomitanza con il semestre di Expo Milano -, avviato lo scorso maggio con le tre giornate milanesi di formazione specializzata – su Coding, Cloud Computing, IoT, Digital Marketing– che hanno coinvolto quasi 2000 ragazze di 18 diverse nazionalità, numero che va ad aggiungersi alle oltre 1100 giovani donne formate nelle due precedenti edizioni, evidenziando un trend di crescita importante.
Un bilancio positivo quello emerso dalle presentazioni odierne, che hanno evidenziato gli importanti risultati ottenuti in un semestre di attività che ha visto la partecipazione attiva di oltre 25 partner e Istituzioni nazionali e internazionali, 11 grandi eventi e 150 sessioni di training in 26 atenei per offrire formazione sulle tecnologie più richieste dal mercato, con l’obiettivo di contribuire a colmare il gap di genere nel mondo dell’ICT, già fortemente penalizzato dal fenomeno del disallineamento tra domanda e offerta di competenze tecnologiche – particolarmente radicato nel nostro Paese in cui la media del mismatching è del 13%, a fronte di una media mondiale pari al 7% – e sostenere concretamente le giovani donne nell’ingresso nel mondo del lavoro: ancora oggi solo 29 donne su 1000 lavorano nel settore ICT (Fonte ITU), un dato anacronistico che riflette un accesso ancora limitato dell’universo femminile alla formazione tecnologica.
Paola Cavallero, direttore Marketing & Operations, Microsoft Italia:
“Siamo molto orgogliosi del crescente successo della Nuvola Rosa, il progetto che abbiamo costruito nell’intento di aiutare le donne ad accedere e ad affermarsi in un mondo del lavoro che sempre più richiede competenze tecnologiche, e che ha coinvolto tantissime realtà, nazionali e internazionali. I risultati di quest’anno sono davvero importanti: in tre anni siamo passati da 400 a quasi 2000 giovani donne coinvolte, un dato, che insieme al grande entusiasmo e alle determinazione delle ragazze incontrate, ci spinge con ancor più energia a raccontare come la tecnologia rappresenti un fattore abilitante per la realizzazione di progetti innovativi nel nostro Paese”.
Ad offrire una testimonianza ancor più concreta della rilevanza e della strategicità dell’acquisizione di competenze tecnico- scientifiche nel nostro Paese, l’annuncio di Accenture, che ha avviato quest’anno un’ingente campagna di assunzioni che prevede di integrare 2.400 risorse in Italia di cui 1.800 tra profili senior e junior dipendenti e 600 in stage.
Ad arricchire la campagna di selezione, che riguarda profili professionali con differenti livelli di competenza, selezionati tra neolaureati e professionisti esperti, prevalentemente con competenze all’interno delle aree Digital e Strategy, Tecnology e Consulting, l’obiettivo dell’azienda di raggiungere un tasso di assunzioni femminili del 35 – 40% sul totale.
Oggi il Coffee Time è in compagnia di Stefano Sordi, Direttore Marketing di Aruba, per analizzare l’evoluzione del Cloud in Italia.
Il mercato del Cloud Computing si è evoluto nel corso dell’ultimo anno e si sta sempre più conformando al tipo di aziende che serve, modificandosi a seconda del livello di maturazione dell’IT aziendale, dell’evoluzione di processi business-IT-business e della tipologia di achitetture legacy in uso presso le aziende.
Senza dubbio il cloud sta rappresentando una sfida sempre più importate per le aziende e i suoi CIO e CTO, costringendoli a ripensare processi e strategie che necessariamente dovranno tenere conto dell’esistenza di questa tecnologia ormai accessibile a tutti, competitor nuovi e futuri, vista l’ampia diffusione che sta avendo. Nel nostro paese chi aveva infrastrutture dedicate si sta preparando, attraverso roadmap di legacy transformation, a poter integrare in modo fluido processi flessibili e automatici alla base del cloud computing. Inoltre, si sta di fatto lavorando alla definizione della cosiddetta “cloud enabling infrastructure”, come qualcuno la definisce, ossia l’insieme dei processi e dei componenti che interessano l’ambito infrastrutturale, applicativo e d’interazione degli utenti aziendali con le piattaforme IT.
E’ ormai consolidata l’abitudine di non ricorrere più a soluzioni on premise, salvo in casi particolari, principalmente per non sobbarcarsi di eccessivi oneri di gestione dell’infrastruttura fisica, che con il cloud ricadono al 100% sul provider. Riguardo alla sicurezza, in generale all’inizio potevano esserci delle remore, ma quando le aziende hanno capito che i propri dati erano custoditi in data center ben definiti, almeno per ciò che concerne il modello Aruba, e gestiti da professionisti esperti in grado di occuparsi proattivamente e autonomamente della gestione dell’infrastruttura, hanno iniziato ad adottare il cloud sia pubblico sia privato senza questo retropensiero.
La liberazione dall’infrastruttura fisica rappresenta un passaggio epocale: invece di costruire la propria infrastruttura IT, il 40% delle aziende italiane sta puntando sul cloud computing in modo da sfruttare le risorse informatiche ospitate da terze parti. A renderlo noto è la relazione Eurostat sull’uso dei servizi cloud nelle aziende dei Paesi di tutta Europa, la stessa che pone l’Italia in cima alla classifica, seconda solo alla Finlandia.
Considerando che la media europea si attesta sul 19%, è facile rendersi conto di come l’Italia possa essere considerata all’avanguardia sull’argomento: nel corso dell’ultimo anno Aruba ha riscontrato una crescita notevole relativamente all’adozione del cloud da parte di piccole e medie imprese e l’elemento di novità è che, mentre in passato la tipologia di azienda che più di altre si orientava al cloud era la large enterprise, dalla seconda metà del 2013 le PMI hanno iniziato ad orientarsi al cloud in modo deciso. Tale dato ha una doppia lettura: da una parte è dovuto al fatto che Aruba ha acquisito più visibilità sul mercato, creando uno specifico focus sul tema cloud e cercando di sensibilizzare un pubblico sempre più vasto relativamente a questo prodotto (portando anche in televisione un servizio poco mainstream quale la tecnologia cloud). Dall’altra parte, il cloud ha subito una vera e propria evoluzione, diventando più appetibile anche per le PMI soprattutto in termini di costi. Aruba, ad esempio, ha proposto per questa fascia di mercato i server smart, soluzioni adatte soprattutto allo sviluppo, data la rapidità di creazione delle macchine. L’obiettivo è stato quello di venire incontro alle realtà dotate di risorse finanziare inferiori e offrire loro un prodotto di qualità che, svincolandosi dalla ridondanza offerta da cluster e storage, permettesse di abbattere i costi.
Ma in un mercato estremamente variegato quale quello italiano, la volontà di Aruba, come di ogni società attenta alle esigenze della propria utenza, è quella di strutturare offerte che si rivolgano a tutti i propri target di riferimento: la fascia di clientela più esigente, grande e strutturata, sta migrando sul cloud privato dove, a fronte di un impegno maggiore, si ha la possibilità di usufruire di un’estrema flessibilità. I principali vantaggi sono legati ad una personalizzazione elevata con profilazione di performance e possibilità di costruire infrastrutture realmente su misura, che quasi sempre fanno sì che una soluzione di cloud privato diventi una soluzione di cloud ibrido.
La fascia più dinamica e meno esigente, invece, va ad occupare la fascia di cloud pubblico, dove con diverse declinazioni dell’offerta si offre al cliente la possibilità di crescere e decrescere rapidamente con un impegno estremamente basso.
Di anno in anno cresce la consapevolezza delle aziende nei confronti di ciò che è il cloud e cosa rappresenta per il proprio business. Non si tratta di un traguardo da poco, come evidenziano i dati Sirmi dello scorso anno che lo vedono come un mercato che in Italia vale oltre 800 milioni: Il segreto è quello di avere un approccio esplorativo e innovativo che presuppone la segmentazione dell’IT perché diventi “accogliente” per questa tecnologia. Grazie ad un mirato progetto di internazionalizzazione, Aruba ha colto come l’approccio al cloud sia differente a seconda della nazionalità e come alcuni paesi mostrino un attaccamento alle soluzioni fisiche, molto più forte. Non si tratta di solo spirito patriottico ma in Italia, per fortuna, la propensione al cambiamento è maggiore del previsto.
Di Stefano Sordi, Direttore Marketing di Aruba
Il Caffè Sospeso di Gian Franco Stucchi oggi affronta il tema del Cloud Computing, analizzandone caratteristiche e opportunità.
Il National Institute of Standards and Technology (NIST) ha pubblicato una definizione funzionale di Cloud Computing che integra diverse caratteristiche comuni a molte soluzioni di mercato, utile per chiarire il panorama dell’offerta e capire il posizionamento dei player.
Il Cloud Computing è ancora un paradigma in evoluzione, nonostante sia ormai diffusa, tra gli operatori del comparto delle tecnologie dell’informazione, un certa frenesia di presenzialismo poiché è considerato molto promettente in termini di ricavi. Le definizioni, i casi d’uso, le tecnologie di base, i problemi, i rischi e i benefici che dovrebbe produrre questo paradigma computazionale saranno certamente precisati, nel corso dei prossimi mesi, in modo più accurato di quanto lo siano attualmente grazie (per dirla in politichese) “all’ampio dibattito” in atto su questo tema sia nel settore pubblico che in quello privato.
E’ prevedibile però che tutto ciò che vi è di inerente, afferente e consequenziale al Cloud Computing evolverà e cambierà nel tempo, così come è accaduto – e accadrà – per ogni altro paradigma-killer che, periodicamente, emerge dall’ICT (o viene fatto emergere artatamente).
E’ semplice pronosticare una certa aleatorietà definitoria del Cloud Computing dato che le specifiche riportate nel documento assunto come base per la redazione di questo articolo fanno riferimento alla versione NIST SP – 800-145 pubblicata il 28 settembre 2011 dall’Information Technology Laboratory del NIST e redatta a cura di due scienziati, onusti di gloria informatica, quali Peter Mell e Tim Grance (http://csrc.nist.gov/publications/nistpubs/800-145/SP800-145.pdf).
Si osservi infine che l’industria del Cloud Computing costituisce un ecosistema ampio e articolato, composto da diversi modelli di riferimento, adottati da una crescente comunità di fornitori di soluzioni e servizi che operano in quasi tutti i settori di mercato. Ne discende che le definizioni riportate nel seguito sono piuttosto lasche, appunto perché tentano di comprendere tutti i vari approcci possibili al Cloud Computing.
La definizione
Secondo il gruppo di lavoro coordinato da Mell e Grance, il Cloud Computing è definibile nel modo seguente:
“Il Cloud Computing è un paradigma di elaborazione dei dati concepito per favorire, tramite la rete Internet e l’utilizzo on-demand, l’accesso economico a una serie di funzionalità ICT. Esso riguarda un pool riconfigurabile di risorse computazionali condivisibili (per esempio: reti, server, sistemi di storage, applicazioni e servizi) che possono essere rese rapidamente disponibili a un parco di clienti indefinitamente esteso. Il rilascio di queste risorse deve avvenire da parte di un fornitore di servizi e con la minima attività possibile di gestione o di interazione”.
Questo modello di Cloud Computing enfatizza la disponibilità delle risorse ed è composto da cinque caratteristiche di base, tre modelli di servizio e quattro modelli di distribuzione.
Le caratteristiche di base
On-demand self-service. Si assume che ogni consumatore (o cliente) sia messo in condizione di acquisire, unilateralmente e in base alle proprie esigenze operative, il complesso delle capacità di elaborazione di cui ha bisogno, sia in termini di tempo macchina dei server che di capacità della memoria di massa disponibile via rete. Questa attività deve avvenire automaticamente, attingendo ai servizi che ogni provider eroga e senza richiedere alcuna interazione umana.
Broad network access. Le diverse funzionalità sono rese disponibili tramite una rete di comunicazione accessibile mediante una serie di meccanismi standard che promuovono l’utilizzo, da parte del consumatore, di piattaforme o dispositivi eterogenei, stanziali o mobili (per esempio, telefoni cellulari, laptop e PDA).
Resource pooling. I provider delle risorse di elaborazione sono raggruppati in pool affinché possano servire una pluralità di utenti utilizzando un modello multi-tenant, con diverse risorse fisiche e virtuali assegnate ai tenant (lett. “affittuari”, in questo contesto meglio “co-proprietari” http://it.wikipedia.org/wiki/Multi-tenant) in modo dinamico e in base alla domanda. Negli ambienti di Cloud Computing il cliente deve percepire un marcato senso di indipendenza dalla locazione; in genere non ha alcun controllo o conoscenza sulla posizione esatta, puntuale, delle risorse a sua disposizione, ma è in grado di specificarla a un livello di astrazione piuttosto elevato (di stato, regione, datacenter). Esempi di risorse che possono essere allocate in pool sono lo storage (memorie di massa), gli elaboratori, la memoria centrale, la larghezza di banda della rete di comunicazione e le macchine virtuali.
Rapid elasticity. Le funzionalità sono rese disponibili in modo rapido ed elastico (cioè adattabile al carico di lavoro). In alcuni casi si richiede che ciò avvenga automaticamente per permettere di scalare rapidamente in modo distribuito (scale out) e, altrettanto rapidamente, essere rilasciate per traslare in ambienti centralizzati (scale in). Per il consumatore, le capacità disponibili devono apparire illimitate e possono essere acquistate in qualsiasi momento nelle quantità desiderate.
Measured service. I sistemi cloud controllano e ottimizzano le risorse in modo automatico adottando alcune funzioni di misurazione operanti a un livello di astrazione adeguato al tipo di servizio richiesto (per esempio: storage, processing, larghezza di banda e contabilizzazione degli utenti attivi). Inoltre, l’utilizzazione delle risorse può essere monitorata, controllata e riportata all’esterno del sistema per garantire la trasparenza operativa e amministrativa sia ai provider che ai consumer dei servizi utilizzati.
I modelli di servizio
Software as a Service (SaaS). E’ la capacità, messa a disposizione del consumatore, di utilizzare le applicazioni del fornitore che operano su un’infrastruttura cloud. Le applicazioni possono essere accedute da diversi dispositivi client tramite un’interfaccia di tipo thin-client (come un web-browser, per esempio). Il consumatore non gestisce o controlla la sottostante infrastruttura cloud (rete, server, sistemi operativi, storage, singole funzioni applicative), con l’eccezione, eventualmente, di un limitato gruppo di configurazioni applicative specifiche di un certo utente.
Platform as a Service (PaaS). Con questa dizione si intende la capacità, attribuita (o ceduta) al consumatore, di dislocare sull’infrastruttura cloud alcune applicazioni realizzate dal consumatore stesso o acquisite dal mercato. Esse devono essere create utilizzando i linguaggi di programmazione o i tool supportati dal provider dell’infrastruttura. Il consumatore non deve gestire l’infrastruttura cloud, ma ha il controllo sulle applicazioni distribuite e, se possibile, anche sulle configurazioni dell’ambiente di hosting applicativo.
Infrastructure as a Service (IaaS). Permette di fornire al consumatore la capacità di acquisire le risorse di calcolo fondamentali relative ai server, allo storage e alle reti. In questo caso il consumatore è in grado di distribuire e attivare l’esecuzione di qualunque tipo di sistema software, sia di base (per esempio i sistemi operativi) che applicativo (per esempio una suite di gestione aziendale o di Customer Relationship Management). Anche in questo caso il consumatore non gestisce l’infrastruttura cloud, ma ha il governo dei sistemi operativi, dello storage, delle applicazioni distribuite ed, eventualmente, esercita un controllo limitato su alcuni componenti di rete (per esempio i firewall dislocati sull’host).
I modelli di distribuzione
Private cloud. Definisce un’infrastruttura cloud utilizzata esclusivamente da un’organizzazione (impresa o ente). Può essere gestita direttamente dall’organizzazione oppure da uno o più provider specializzati, ed esistere in forma “on premise” (letteralmente nell’edificio, in sede) oppure “off premise” (fuori dall’edificio, fuori sede).
Community cloud. L’infrastruttura cloud è condivisa da molte organizzazioni e supporta una comunità di consumer che hanno gli stessi interessi (per esempio: la missione, i requisiti di sicurezza, le policy, le considerazioni sulla conformità). Essa può essere gestita dalle organizzazioni o da terzi e può esistere in forma on premise o off premise.
Public cloud. L’infrastruttura di cloud computing è messa a disposizione del pubblico o di un settore industriale di grandi dimensioni ed è di proprietà di un’organizzazione specializzata nella vendita di servizi cloud.
Hybrid cloud. L’infrastruttura cloud è una composizione di due o più modelli di distribuzione (private, community, public), che rimangono entità uniche ma sono integrate da tecnologie standard o proprietarie che consentono di effettuare la portabilità dei dati e delle applicazioni (per esempio il cloud bursting, una tecnica per il bilanciamento del carico tra cloud).
I sistemi software cloud-like sfruttano appieno le opportunità offerte dal paradigma Cloud Computing essendo, innanzitutto, orientate ai servizi ma con particolare attenzione alla condizione di “statelessness” (o “apolidia”, che in questo caso indica la non-appartenenza a una particolare corrente culturale o commerciale dell’ICT), all’accoppiamento lasco, alla modularità e all’interoperabilità semantica.
La consacrazione del paradigma
Da diversi anni gli esperti dell’ICT profetizzano l’avvento del Cloud Computing e anche le piccole e medie aziende stanno prendendo in considerazione la “nuvola”, nonostante il fatto che la crisi economica globale, scoppiata nel 2008, abbia rallentato gli investimenti in questa tecnologia,in particolare, e nel settore dell’innovazione tecnologica, in generale. Sembra però che in questi anni siano quelli della definitiva affermazione di questo paradigma. Il Cloud Computing sta raggiungendo lo stadio della maturità nelle grandi imprese, secondo quanto rivelano gli studi condotti – su universi-campione anche estesi e articolati di professionisti e aziende utenti di ICT – sia dalle società di ricerca (per esempio, dalle citatissime Gartner e IDC a livello mondiale), sia dalle organizzazioni di tipo “Università&Impresa” (vedasi l’affollato pool degli Osservatori MIP del Politecnico di Milano).
A questi centri di competenza si rimanda il lettore per eventuali approfondimenti sullo stato d’avanzamento della pervasività del Cloud Computing.
I vantaggi nell’adozione di soluzioni di questo tipo risiedono nell’ottimizzazione dei costi e della ridondanza, con un parallelo aumento del grado di uptime e di scalabilità dell’impianto cloud di elaborazione dell’informazione che si intende realizzare o utilizzare.
In effetti il Cloud Computing, secondo il report “Cloud Dividend” del Centre for Economics and Business Research (CEBR) ed altre analisi di settore, potrebbe migliorare significativamente l’efficienza degli utilizzatori, riducendo anche la quantità degli investimenti sprecati, cioè legati alla sottoutilizzazione delle capacità ICT. Per questo motivo nei prossimi anni queste soluzioni saranno in grado di produrre benefici enormi e generare milioni di posti di lavoro, cifre non certo trascurabili per le imprese dai paesi del Vecchio Continente, sempre più sottoposte alla pressione della concorrenza globale.
Tra i settori che potrebbero maggiormente beneficiare dall’avvento del cloud si annoverano la distribuzione, il retail e l’hospitality, ma perché la rivoluzione della nuvola possa definitivamente affermarsi è necessaria una svolta radicale dal punto di vista normativo poiché, di fatto, con questa tecnologia si esporta una certa mole di dati al di fuori dei cancelli dell’impresa, spesso all’estero e in luoghi diversi, in contrasto con tutto ciò che normalmente è previsto, per ragioni legata alle privacy e alla sicurezza, dalle policy aziendali e dai regolamenti in uso negli Stati Europei,
Neelie Kroes, dal 2010 Commissario Europeo per l’Agenda Digitale, ha costantemente sottolineato che le linee guida della normativa EU dovranno riguardare la protezione dei dati, la sicurezza, la regolamentazione della privacy e un approccio comune all’impiego delle tecnologie cloud.
«Secondo me – ha dichiarato in proposito – ogni cittadino europeo, fruitore di servizi cloud, deve essere messo in grado di sapere come il proprio fornitore protegge i suoi dati. Inoltre, tutti i governi dei Paesi in cui si trovano i server (ovvero dove “la nuvola tocca la terra”) devono definire un quadro giuridico tale per cui sia garantita un’adeguata protezione dei dati e della privacy. Può sussistere una serie (limitata) di eccezioni – dettate, per esempio, da ragioni contingenti di ordine pubblico o di sicurezza nazionale – ma anche queste devono essere coerenti con i principi sovrani dello Stato di Diritto».
A questo proposito osserviamo che, una volta – ma sono passati molti anni – l’Italia era considerata la patria del diritto, tanto che avevamo molti legislatori che riuscivano a dare un senso ai codici. Oggi i cittadini sono sconfortati; qualcuno parla ancora dell’Italia come la patria del diritto, ma troppe sono le leggi “ad personam” approvate nelle varie sedi competenti, anche quando sono palesemente di dubbia o discutibile legittimità.
Forse la diffusione del Cloud Computing può essere proprio l’occasione per intraprendere un cammino verso un nuovo Stato di Diritto (magari seguito dal solito, ma stantìo, “2.0” o dal persistente aggettivo “Digitale”).
Gian Franco Stucchi
Il Cloud Computing e i Big Data Analytics rappresentano i trend principali nell’evoluzione verso la digitalizzazione delle imprese e viaggiano in forte controtendenza rispetto all’andamento della spesa ICT, spesso stagnante o, peggio, in contrazione. Con riferimento al mercato italiano, gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano hanno da tempo attivato due filoni permanenti di Ricerca con l’obiettivo di monitorare l’adozione di tali tecnologie all’interno delle organizzazioni italiane.
In merito al Cloud Computing la Ricerca ha analizzato l’evoluzione della spesa dedicata nella componente Private ed in quella Public, su un campione rappresentativo di 201 Grandi Organizzazioni (con più di 250 addetti) e di 507 PMI, Il mercato nel 2013 vale 493 mln €, in crescita dell’11% rispetto al 2012. La spesa Cloud nelle grandi imprese cresce del 12% mentre nelle PMI la dinamica è più positiva, con una crescita rilevata del 16%. In valore assoluto la spesa nelle PMI rimane però marginale rappresentando meno del 5% della spesa Cloud complessiva, pari a 21 milioni di €. Nonostante la crescita dell’11% anno su anno, l’evoluzione del Cloud resta inferiore alle aspettative di analisti ed esperti: cresciamo l’8% in meno dei Paesi più evoluti. Ma l’effetto moda è alle spalle e la crescente pianificazione dell’utilizzo del Cloud e il fermento nel mondo startup aprono la via a un percorso positivo di evoluzione. La spesa delle grandi imprese copre il 95% del totale e registra un tasso di crescita analogo, mentre nelle PMI la dinamica è più positiva: è stata, infatti, rilevata una crescita del 16%; tuttavia, in valore assoluto l’investimento rimane marginale: rappresenta meno del 5% della spesa Cloud complessiva, pari a 21 milioni di euro.
Per quanto riguarda i Big Data Analytics si osserva una dinamica della spesa ancor più effervescente, cresce infatti del +22% in un anno la spesa per l’acquisto di tali sistemi. Se analizzano la tipologia di progetti adottati dalle aziende, la maggioranza delle grandi organizzazioni italiane adotta già soluzioni di Performance Management & Basic Analytics, mentre solo il 36% utilizza sistemi avanzati per l’analisi predittiva dei dati. Aumenta il volume di dati analizzati: +19% quelli strutturati, +28% quelli destrutturati. Solo in un caso su cinque si tratta però di Big Data. vi è inoltre grande fermento per le soluzioni di Social Analytics, già utilizzate dal 54% delle grandi imprese, anche se ancora poco integrate con il core business. Per ottenere i maggiori benefici servono una governance coordinata tra le varie funzioni aziendali e nuove competenze da parte degli analisti. I sistemi di Big Data Analytics sono utilizzati in azienda soprattutto dalle funzioni commerciale (73%) e di programmazione e controllo (61%), poi da finance (59%), marketing/comunicazione (57%), direzione generale (57% ) e amministrazione (56%). In misura minore da logistica (43%), acquisti (39%), produzione (37%) e risorse umane (36%). Solo nel 16% viene segnalata la funzione ricerca e sviluppo.
Alessandro Piva
Project Manager, School of Management del Politecnico di Milano.
Coffee Time, l’editoriale di ViralCaffè, sarà presente sulla nostra piattaforma, come spazio di approfondimento dedicato a vari temi dell’ICT, ogni giovedì mattina con contenuti sempre nuovi.
Scritto e firmato da figure di spicco, italiane e straniere, appartenenti a vari settori del mondo dell’ICT, della Ricerca e dell’Innovazione, Coffee Time sarà un appuntamento fisso da regalare ai nostri lettori, riproposto sui nostri Social Network.
Inauguriamo Coffee Time con l’editoriale scritto da Alessandro Piva, Project Manager, School of Management del Politecnico di Milano, dedicato al tema del Cloud Computing e i Big Data Analytics.
Abbiamo realizzato una video intervista a SMAU Bari 2014, per fornire ai nostri lettori una breve anteprima dei contenuti che saranno poi approfonditi nell’ambito di Coffee Time.
Alessandro Piva ha dichiarato che “sia il mercato del Cloud che quello dei Big Data Analytics sono mercati in forte controtendenza rispetto al mercato dell’ICT che è stato, nel 2013, ancora in contrazione…”.
Potrete trovare tutti gli approfondimenti nell’articolo di Alessandro Piva, domani su Coffee Time, l’editoriale di Viralcaffè.
Microsoft Italia annuncia la nomina di Fabrizio Fassone quale Direttore Small, Medium Business and Distribution della filiale italiana.
Laureato in Economia e Commercio presso l’Università “La Sapienza” di Roma, prima di entrare a far parte di Microsoft ha lavorato in IBM.
Nel nuovo ruolo a diretto riporto di Vincenzo Esposito, Direttore della Divisione PMI e Partner di Microsoft Italia, Fabrizio Fassone coordinerà diversi team con l’obiettivo di far crescere l’adozione del Cloud nel segmento delle PMI e della Distribuzione con un approccio territoriale e orientato alle necessità dei clienti e partner.
Nello specifico guiderà differenti funzioni all’interno della Divisione PMI e Partner.
Lasua prima funzione sarà di far crescere l’adozione dei prodotti Microsoft, on premise e nel Cloud con un approccio territoriale e focalizzato sui Partner Microsoft; la seconda sarà la gestione della relazione e del business con i principali distributori italiani.
Altro importante incarico spingere l’adozione del cloud e prodotti in modalità hosting nelle PMI e seguire il coordinamento delle azioni di marketing sulle attività clienti e canale rivolte al segmento Small e Medium Business.
A questo scopo Fassone, insieme alla sua squadra, lavorerà con un team cross-divisionale dedicato alle attività di marketing rivolte ai partner e clienti finali del segmento PMI, con particolare attenzione alla promozione del Cloud Computing sul territorio italiano e tra l’ecosistema dei Partner Microsoft.
Fabrizio Fassone vanta una lunga esperienza in Microsoft, dove ha ricoperto il ruolo di Direttore Divisione OEM per più di 4 anni con l’incarico di sviluppare la relazione con i produttori ed i distributori di PC e Server nazionali e multinazionali. In precedenza è stato Direttore della Specialist Team Unit all’interno della divisione Enterprise & Partner Group e Direttore del Communication Sector. Nei primi anni in Microsoft, dove è approdato nel 1995, ha lavorato a Roma nella divisione Public Sector e poi a Milano maturando esperienze di vendita sui grandi clienti.
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